Un ricordo che si fa preghiera

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STEMMA

MESSAGGIO ALLA DIOCESI
In occasione della dedicazione di un busto marmoreo a Don Giuseppe Giovinazzo (Polsi 8 ottobre 2017)

 

Desidero ravvivare nella Comunità credente il ricordo di Don Giuseppe Giovinazzo, il sacerdote trucidato in un agguato di stampo mafioso il 1° giugno 1989, intorno alle ore 18, sulla strada che da Montalto porta a Polsi. Come prega il salmo 111, “il giusto sarà sempre ricordato”.

“Il giusto”, nel nostro caso, è un sacerdote che ha perso la vita nell’esercizio del suo ministero sacro nel Santuario di Polsi. Se ogni morte violenta non trova ragione, ancora di più questo vale per un sacerdote.

Don Giovinazzo era nato a Portigliola il 14 novembre 1936 da Saverio Pasquale e Maria Carmela Alfarone, era stato ordinato sacerdote in Moschetta il 29 giugno 1962. Dal 31 agosto 1962 gli era stata affidata la parrocchia Maria SS. Immacolata in Moschetta, frazione di Locri. Il 1 luglio 1967 era diventato parroco a Portigliola, vicario a Moschetta. Fu insegnante di Religione presso la Scuola Media “Ferraris” di Locri. Dal 1975 al 1977 revisore dei conti e collaboratore di Giosafatto Trimboli, rettore del Santuario di Polsi, come assistente spirituale ai pellegrini. Era stato impegnato nell’Azione Cattolica e nella Caritas parrocchiale.

Assassinato il 1 giugno 1989, il suo corpo fu rinvenuto il giorno dopo, verso le 10 di giovedì mattina, da un operaio forestale, che transitava diretto al suo lavoro sulla strada che conduce al Santuario. L’omicidio era avvenuto nella serata del mercoledì precedente, mentre il sacerdote rientrava a Locri. Le armi usate erano state una lupara ed una pistola calibro 9. I funerali si svolsero domenica 4 giugno 1989. Erano presenti la comunità parrocchiale, il Clero diocesano, i sindaci di Locri e Portigliola, il preside della Scuola Ferraris di Locri e varie associazioni. La CEC aveva inviato un telegramma.

Il Vescovo Antonio Ciliberti, nella sua omelia, descriveva il sacerdote come uomo sereno, del quale tutti parlavano bene, umile e disponibile. La sera precedente al delitto don Giovinazzo aveva avuto un colloquio con lui: “Abbiamo parlato della nuova stagione dei pellegrinaggi a Polsi – raccontava il vescovo -, del lavoro da avviare per il rilancio del culto ma anche per un nuovo impulso e il nuovo significato da affidare alla nostra missione presso quel Santuario”. Mons. Antonino Sgrò, vicario generale, oltre ad esprimere sgomento per l’accaduto, manifestò il cordoglio di tutto il clero diocesano, dichiarando che don Giovinazzo si era sempre 2 distinto per fedeltà ed impegno, competenza e disponibilità.

Nella “Rivista Diocesana” anno I 1989-90: pp. 61-64. Comunicato della Curia Vescovile – Vengono descritte le qualità del sacerdote, che si distinse sempre per fedeltà ed impegno, competenza e disponibilità. Il suo impegno pastorale era stato rivolto particolarmente alla promozione della maturazione umana e cristiana. Nella sua omelia in occasione delle esequie (in Rivista Diocesana, pp. 62-63), il Vescovo, oltre ad esprimere il suo dolore, sottolineava il sacrificio di don Giuseppe come partecipazione al mistero pasquale di Cristo, morto e risorto per noi. Osservava come da quel sacrificio venisse un messaggio di amore e di speranza contro l’odio e la vendetta che insanguinavano il territorio aspromontano. Don Giovinazzo – diceva il Vescovo – è stato un apostolo”, latore di un messaggio di amore che porta a riconoscere ogni uomo come nostro fratello.Durante 27 anni di ministero sacerdotale, – continuava – (don Giuseppe) con la parola e con la vita, ha affermato che l’unica verità è l’amore. La ricchezza di questo insegnamento è una lezione per tutti, ma lo è soprattutto per coloro che, disorientati dall’egoismo e dall’odio, diventano facili prede del maligno”. Questo insegnamento doveva continuare ad essere una lezione contro l’odio, l’egoismo e coloro che seminano la morte. A questi il Vescovo chiedeva il cambiamento di vita e la conversione.

In una solenne concelebrazione nella Cattedrale di Locri veniva offerta alla famiglia una medaglia d’oro con la scritta “A don Giuseppe Giovinazzo – Locri – 1.6.1989 – Il presbiterio diocesano in onore del suo olocausto. Locri, 22 giugno 1989”. La FACI, delegazione regionale per la Calabria offriva una targa in memoria: “A grata memoria dell’indimenticabile don Peppino Giovinazzo falciato da mano sacrilega in zona Polsi. Memori del cuore generoso e animo nobile nel ministero pastorale e nel culto alla Vergine di Polsi, la FACI regionale in perenne ricordo come segno di solidarietà e di partecipazione del clero di Calabria verso la Chiesa che è in Locri, in piena comunione di cordoglio e di sicura fede. Nell’accoglienza del confratello vittima nell’eterna liturgia dei testimoni del Risorto. Offre il Presidente don Matteo Teotino. Reggio Calabria, 15.6.1989”.

A distanza di più di ventisette anni, restano ancora aspetti della sua vita che meriterebbero di essere chiariti. Il riferimento è all’accusa mossa nei suoi confronti per aver celebrato il 31 ottobre del 1985 le nozze di Giuseppe Cataldo. Un altro episodio sotto osservazione era avvenuto il 14 marzo del 1986, allorché don Giuseppe fu protagonista, in qualità di assistente del Santuario di Polsi, di una vibrata protesta con esposto alla Procura della Repubblica nei confronti delle forze di polizia che avevano forzato la porta d’ingresso del Santuario sottoposto ad un’accurata perquisizione. Don Giovinazzo reagì con risolutezza, affermando che si potevano chiedere le chiavi che non avrebbe avuto alcuna riserva a consegnarle. Alla protesta si associò anche la Curia. Un altro fatto su cui scrissero i giornali, ma che andrebbe meglio chiarito, riguarda il comportamento del sacerdote in occasione del sequestro di Cesare Casella. Erano quelli tempi difficili, in cui la mafia imperversava e tante circostanze restavano nel più assoluto silenzio. Neppure era ancora maturata una vera coscienza civile della gravità del fenomeno mafioso.

Una cosa è certa: don Giovinazzo è stato trucidato sulla strada per Polsi dopo una giornata di servizio pastorale nel santuario. Non può di conseguenza essere trascurato il legame esistente tra la sua uccisione ed il ministero pastorale di vicerettore del Santuario. E’ un tributo di sangue che la Chiesa di Locri-Gerace ha dovuto pagare all’arroganza e prepotenza di un’associazione criminale di stampo mafioso, che dal 1989 a seguire ha esercitato il comando ed il controllo del territorio seminando lacrime e sangue. Il delitto è rimasto impunito ed i suoi responsabili si sono dileguati. Ma il loro gesto assassino non può non turbare per sempre le loro coscienze. Anche per loro preghiamo nella speranza che il nostro perdono cristiano susciti (o 3 abbia suscitato) in loro un vero pentimento.

Oggi, con il busto che collochiamo all’interno dell’area sacra del Santuario di Polsi, desideriamo che la memoria del suo sacrificio non venga mai meno. Vittima innocente, pone seri interrogativi a quanti, devoti e fedeli, entrano in Santuario per pregare. Un luogo dal quale chi passa deve solo raccogliere e portare con sé sentimenti di pace ed il proposito di un sincero cambiamento di vita.

Il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi appartiene solo al popolo fedele e alla devozione della gente di questa martoriata terra. Nessun altro se ne può in alcun modo appropriare. Ai fedeli devoti di questo Santuario dico: Non lasciamoci rubare questo inestimabile tesoro! Il sacrificio di don Giovinazzo tocca tutto il clero diocesano. Ci consegna un’eredità difficile ed importante: da una parte l’impegno concreto, coraggioso e profetico da portare avanti senza riserve contro ogni forma di associazione mafiosa, dall’altra l’indicazione di un percorso pastorale di formazione delle coscienze e di annuncio della gioia del Vangelo della riconciliazione e del perdono come percorso ineludibile di rinascita del nostro territorio.

Dal santuario di Polsi deve partire un messaggio importante per la nostra chiesa locale: l’urgenza dell’annuncio del Vangelo della gioia che suscita la ricerca di nuovi stili di vita, che mettono al centro Gesù, “la pietra che i costruttori hanno scartato diventata la pietra d’angolo”. Il Signore che ha pagato con la vita la violenza e l’ingiusta condanna ci apre alla gioia del perdono, della risurrezione e della vita nuova.

Alla Madonna di Polsi, che una lunga tradizione di devozione e di fede ci consegna come Madre del Divin Pastore, affidiamo il futuro delle nostre famiglie, le attese e le speranze dei giovani, il grido di aiuto dei malati e degli anziani. A Lei chiediamo di renderci sempre più vigilanti e impegnati nella costruzione di una società più giusta e solidale.

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Locri, 7 ottobre 2017