L’Omelia di Mons. Oliva per la chiusura diocesana del Giubileo

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Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose,
carissimi fratelli e sorelle,

Con questa celebrazione anche la nostra Chiesa diocesana conclude il cammino giubilare che il Signore ci ha fatto vivere come tempo di grazia, di conversione e di comunione. Attraversare la Porta Santa è stato per molti un gesto, che ha ravvivato la fede in Gesù, che è la vera porta aperta sulla vita: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gv 10, 9). Gesù è la Porta attraverso cui entriamo nella vita. Molti hanno riscoperto il sacramento della riconciliazione, la forza della Parola, la bellezza di una Chiesa che accoglie senza giudicare e accompagna senza stancarsi. Anche se vengono chiuse le porte sante delle basiliche maggiori, non si chiude il cammino di grazia e di misericordia avviato nel corso del giubileo: il cuore di Dio misericordioso rimane aperto e pronto a restituire gioia e speranza al mondo. Deve rimanere aperto il nostro cuore nell’ascolto della parola, nell’accogliere il fratello, con animo disposto al perdono ed al dialogo, senza chiusure e spirito di contesa. Sono questi i frutti del Giubileo. D’ora in avanti, teniamo aperte le porte del nostro cuore, nelle nostre parrocchie, in famiglia, nei luoghi di lavoro e del tempo libero.
In questo anno santo è tornato al Padre papa Francesco, che lo aveva aperto ed il Signore ci ha donato un nuovo pastore papa Leone XIV. Sono cambiate le guide pastorali. Cambiamo i pastori, ma rimane, deve rimanere la fedeltà alla missione ricevuta. Ma soprattutto il nostro entusiasmo e la passione per il regno di Dio non viene meno.  Il Signore esorta ciascuno di noi: “sii zelante e ravvediti” (Ap. 3, 19). Ci chiede uno zelo saldo che sia espressione di un cuore follemente innamorato di Gesù. Solo un cuore innamorato di Dio può incendiare il mondo. “Lo zelo per la tua casa mi divora”, dice il salmista (Sal 69).
“Ciascuno di voi dimostri sino alla fine il medesimo zelo per rendere certa la pienezza della speranza” (6,11). Ciò sia quando più forte è lo stimolo del pastore e più pressante la sua vigilanza sia quando più libertà viene lasciata alla responsabilità di ciascuno. Siamo chiamati ad essere zelanti per il Vangelo e per fare del bene.
Come insegna Sant’Agostino,
ogni cristiano, essendo membro di Cristo, deve essere divorato dallo zelo per la casa di Dio. E chi è divorato dallo zelo per la casa di Dio? Colui che quando vede che qualcosa non va, si sforza di correggerla, cerca di rimediarvi, non si dà pace: se non trova rimedio, sopporta e geme…  Ti divori, dunque, lo zelo per la casa di Dio. Ogni cristiano sia divorato dallo zelo per la casa di Dio, per quella casa di Dio di cui egli fa parte… Sicché, fratelli miei, tenendo conto di questo ammonimento, non vi date pace… non stancatevi di guadagnare anime a Cristo, poiché voi stessi da Cristo siete stati guadagnati” (Commento al Vangelo di S. Giovanni X, 4- 6, 9).
Il Giubileo, che in diocesi ha avuto inizio tra i detenuti della vicina Casa Circondariale, ora si conclude con la presenza di tre persone detenute, una affidata alla cura del cappellano don Crescenzio. La loro partecipazione è stata resa possibile grazie alla collaborazione con la direzione del carcere, che intende dare valore ai percorsi di recupero e reinserimento. Un sentito ringraziamento va al magistrato di sorveglianza, che ha consentito ai detenuti di partecipare alla Santa Messa. Ognuno con un cammino diverso, con storie diverse e percorsi di reinserimento sociale differenziati, ma tutti con nel cuore la speranza di un futuro nuovo.
Oggi siamo qui non solo per concludere l’evento giubilare, ma anche per rendere grazie per i tanti doni spirituali che hanno impreziosito la nostra chiesa particolare, che nel suo piccolo ha ricevuto linfa e vitalità nel contesto dei vari appuntamenti giubilari della Chiesa universale. Tanti sono stati i momenti spirituali organizzati col coordinamento del delegato diocesano don Antonio Magnoli. essi ci hanno visti uniti nella carità e nella fede, nonostante i limiti e le insufficienze.
Il Giubileo ha rinnovato in noi la consapevolezza di essere un popolo in cammino, non individui isolati, che vanno per conto proprio perseguendo interessi individuali e senza alcuna appartenenza ecclesiale. Abbiamo pregato insieme, condiviso passi comuni, imparato che la fede cresce solo nella comunione e nella sinodalità. È questa una grazia da custodire, perché la tentazione dell’autosufficienza e della frammentazione è sempre in agguato, nemica mortale della comunione ecclesiale.
Ora come Chiesa diocesana sentiamo forte la responsabilità di non disperdere quanto vissuto. Chiediamo al Signore che le celebrazioni, i pellegrinaggi, le opere di carità, le catechesi giubilari siano il seme di un rinnovato slancio missionario. Superando la tentazione di guardare al passato, lasciamoci trasformare dallo Spirito che ha operato in questo tempo e che rinnova ogni cosa.
Ringraziamo il Signore per tutti coloro che hanno reso possibile il Giubileo: per i sacerdoti, per i consacrati, per i laici impegnati, le associazioni e i movimenti, per chi ha servito nel silenzio ed ha pregato nascosto agli occhi del mondo. In ciascuno di loro si è riflessa la bellezza della Chiesa.
In questo anno di grazia ci è stato chiesto di saper attendere e sperare. Molte sono state le iniziative vissute. Dal giubileo della famiglia a quello dei giovani. Dal giubileo del carcere a quello del mondo sanitario. Dal giubileo dei lavoratori a quello degli amministratori. Dal giubileo dei sacerdoti a quello della vita consacrata. Dal giubileo delle associazioni e movimenti a quello del mondo del volontariato. Dal giubileo del mondo educativo a quello delle forze armate. Tutto è stato fatto per poter vivere l’esperienza della misericordia e della speranza in ogni parte della diocesi. Nel nostro piccolo, pur fra limiti ed insufficienze, abbiamo avuto la possibilità di riscoprire il dono grande che è in ciascuno di noi: essere mendicanti di speranza.
Ci sono alcune domande che restano aperte. Come sacerdoti quale speranza siamo chiamati a vivere nell’impegno pastorale, per restare fedele alla vocazione ricevuta? Quale speranza nutro nella comunità cristiana come sacerdote chiamato a servire? Come cristiano quale speranza sono chiamato a vivere nella quotidianità del lavoro, delle relazioni, degli affetti? I “cieli nuovi e la terra nuova” indicano un orizzonte di speranza che non deve spegnersi in noi.
Il Giubileo si chiude, ma la missione continua. Con cuore riconoscente e fiducioso continuiamo a camminare, certi che il Signore ci accompagna. Scrivevo in Con Cristo per una chiesa solidale, “siamo tutti chiamati a lavorare nel grande cantiere di Dio, modellandoci sapientemente secondo i suoi disegni di salvezza”. E consegnavo una domanda che è sempre aperta: “Cosa chiede il Signore alla nostra Chiesa?”.
“In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra vita” (papa Leone XIV). Ripartendo dalla fede professata a Nicea, che ci fa riconoscere in Cristo il Dio cha salva, riscopriamo la bellezza del fare comunità, dell’essere Chiesa che annuncia e testimonia la speranza. Di fronte ai tanti problemi che caratterizzano lo scacchiere mondiale, primo fra tutti la guerra, rivolgiamoci al “Principe della pace”, impegnandoci ad essere operatori di pace, “sforzandoci di creare legami, di stabilire rapporti fra le persone, appianando tensioni, smontando lo stato di guerra fredda che si incontra in tanti ambienti di famiglia, di lavoro, di scuola, di sport, fra le nazioni ecc.” (Chiara Lubich).
Continuiamo a perseverare da pellegrini di speranza nel Dio che non delude. Avendo come modello la santa Famiglia di Nazaret, che non si è arresa di fronte all’arroganza di Erode, non si è smarrita in terra straniera, ha vissuto le ristrettezze dell’emigrazione, ma ha sempre conservato la fedeltà a Dio e non ha mai perso la speranza.
Il nuovo anno che sta per aprirsi certamente ci consegnerà delle novità. Siamo pronti ad accoglierle con fede. Il Signore, in questo momento storico, c’invita ancora una volta a “prendere il largo” e ci dà la certezza che è Lui il Signore della storia e, guidata da Lui, la nostra chiesa saprà discernere l’orizzonte verso cui rivolgersi e portare nel mondo la speranza e tenere desta la fede in Dio. A Lui, che è ricco di misericordia, lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

(Cattedrale di Locri, 28 dicembre 2025)