Carissimi fratelli e sorelle, Autorità civili e militari,
vent’anni dopo quel tragico pomeriggio del 16 ottobre 2005, quando la violenza, cieca e arrogante, spense la vita di Franco Fortugno, continuiamo ad incontrarci. Lo facciamo, pregando insieme alla sua famiglia, alla moglie Mariagrazia, ai figli ed ai parenti tutti. Lo facciamo perché crediamo che la vita è più forte della morte, che la violenza non può soffocare la speranza, che c’è in tutti un bisogno di umanità e un desiderio di pace e di riconciliazione.
A nome di tutti e di questa comunità diocesana, esprimo gratitudine a chi ogni anno continua a ridestare in noi la memoria, a non dimenticare, a rinnovare quel patto di alleanza che vent’anni fa fu sancito tra le forze sane della comunità nella lotta alla mafia per una società civile più impegnata nel promuovere la giustizia e nel combattere l’arroganza mafiosa.
Oggi siamo qui per ricordare Franco Fortugno, ma anche per rinovare il comune desiderio di trasformare la memoria di un evento tragico avvenuto qui vicino a noi in impegno di lotta civile, di solidarietà e di riconciliazione sociale. È una memoria che s’è fatta coscienza, consapevolezza che la società deve reagire di fronte a determinate azioni che non trovano alcuna giustificazione.
Mi permetto di richiamare le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del decimo anniversario della morte di Franco:
«Resistere e reagire con fermezza ad ogni forma di malaffare, di condizionamento e di connivenza è il modo migliore per ricordare».
Ricordare oggi significa perciò non solo guardare al passato, ma prendere su di sé un impegno per il presente. La memoria di Franco può diventare motore vivo di giustizia, legalità, coesione sociale. È una memoria illuminata dalla fede, un atto di giustizia verso Franco e la sua famiglia. A lui ed alla famiglia questa nostra comunità deve molto. Ed oggi intende esprimere la propria gratitudine con la preghiera e la vicinanza affettuosa.
Ricordare Franco è dire con forza che il male, la violenza non hanno l’ultima parola. Il sacrificio di Franco e della sua famiglia come ha scosso le coscienze di tanti uomini e donne di quel tempo, ha aperto un tempo nuovo per Locri e per tutto il nostro paese, chiamando ciascuno a scegliere da che parte stare: dalla parte della legalità o dalla parte del silenzio complice, della partecipazione civile o della complicità e del silenzio omertoso?
In Franco continuiamo a vedere l’immagine di un uomo onesto che ha creduto nella possibilità di una società diversa, di un Sud diverso, fondato non sulla paura ma sulla speranza. Egli rimane per noi l’emblema di quanti credono in una Calabria diversa, in una Locride diversa, libera dalla morsa della ‘ndrangheta e capace di costruire un futuro fatto di diritti, di giustizia e di trasparenza.
La Parola di Dio appena proclamata nella lettera ai Romani di san Paolo Apostolo richiama la giustizia di Dio: “Ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù” (Rm 3,21-30). La giustizia di Dio è una giustizia diversa rispetto a quella umana. È la giustizia di un Dio giusto e fonte di giustizia. La sua è una giustizia, che rende giusti gli altri, che mette ogni cosa al suo posto, che infonde la pace: pace della coscienza, pace tra noi, pace tra noi e Dio.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di ritornare al Dio della misericordia, della pace e del perdono. Egli solo può darci pace, può giustificarci, ossia può salvarci, ma ad una condizione: che lo rimettiamo al centro della vita, delle nostre relazioni, dei sistemi di governance, basati sul riconoscimento dei diritti assoluti della persona umana chiamata a vivere in società.
La vita umana è fondata su questa giustizia di Dio che ci ha “giustificati”, ci ha resi giusti. Ma per agire la giustizia di Dio domanda una cosa sola: la fede. L’uomo non può liberarsi dal peccato con le sue forze, deve confessare che soltanto Dio lo può liberare. Altrimenti si ricade nella situazione farisaica di credersi giusti e di pensare che sono le nostre opere a meritarci la riconciliazione con Dio.
San Paolo chiarisce la posizione del credente:
“Noi riteniamo che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è Dio”.
La fede salva. Dio è uno solo, unisce, non divide e contrappone gli uomini. Dividersi sulla fede in Dio è un pregiudizio pericoloso.
Fede è perciò aver fiducia in Lui che è creatore e padre di tutti. È al di sopra di tutti ed ama tutti con lo stesso amore di misericordia e perdono.
“Con il Signore è la misericordia, e grande è con lui la redenzione”.
“Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore” (Salmo responsoriale).
Nel vangelo Gesù lancia un monito verso quanti scelgono la violenza e fanno del male a coloro che sono stati uomini di pace ed hanno testimoniato la giustizia:
“A questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione”.
Ci verrà chiesto conto del sangue versato, dell’ingiustizia commessa nei confronti dei deboli e di chi non ha voce, degli ultimi e di quanti hanno pagato con la vita l’impegno per la giustizia e la pace.
Il Vangelo ci mette in guardia dal rischio di riconoscere il valore dei profeti, degli uomini giusti solo quando non ci sono più, quando la loro voce è ormai spenta. E soprattutto ci mostra che ogni volta che, con gesti, parole, silenzi o omissioni abbiamo ostacolato il bene o taciuto di fronte all’ingiustizia subita, abbiamo contribuito a perpetuare il male. E quando scegliamo di non denunciare, quando alimentiamo narrazioni crudeli sulla vita altrui, diventiamo complici.
Il Vangelo ci mette in guardia altresì quando siamo sappiamo erigere altari con grande maestria, ma lo facciamo solo dopo aver ignorato, ferito o abbandonato chi oggi celebriamo.
Così dimentichiamo le ferite che abbiamo contribuito a infliggere, come se il tempo potesse assolverci senza il coraggio della memoria.
Anche nelle relazioni più intime, come quelle familiari, spesso si sceglie la via dell’omertà. Tutti sanno ma nessuno agisce. Ci rifugiamo nell’indifferenza, come se non fossimo responsabili di ciò che ci circonda. Preferiamo far finta di non vedere. Il nostro silenzio diventa complicità. Anch’esso un male da cui fuggire, se vogliamo costruire un mondo nuovo.
Per questo Gesù ci chiama alla responsabilità, dovunque siamo, perché il bene non trova sempre spazio nel mondo.
Sono molto illuminanti per noi queste parole di papa Leone XIV:
«Non sempre il bene trova, attorno a sé, una risposta positiva. Anzi a volte, proprio perché la sua bellezza infastidisce quelli che non lo accolgono, chi lo compie finisce con l’incontrare dure opposizioni, fino a subire prepotenze e soprusi. Agire nella verità costa, perché nel mondo c’è chi sceglie la menzogna, e perché il diavolo, approfittandone, spesso cerca di ostacolare l’agire dei buoni. Gesù, però, ci invita, con il suo aiuto, a non arrenderci e a non omologarci a questa mentalità, ma a continuare ad agire per il bene nostro e di tutti, anche di chi ci fa soffrire. Ci invita a non rispondere alla prepotenza con la vendetta, ma a rimanere fedeli alla verità nella carità» (Papa Leone XIV).
La testimonianza di Franco non è un monumento da onorare ogni anno, ma una eredità da continuare e vivere ogni giorno. Franco era politico con radici tra la gente, uomo delle istituzioni, medico, credente, servitore del bene comune. Era convinto che la buona politica è servizio: “Una politica che non sia vicina, non è politica”. A vent’anni di distanza, la sua voce — “E adesso tocca a voi” — risuona come appello a non restare spettatori, ma ad essere protagonisti del rinnovamento sociale e civile, ad uscire fuori dal proprio individualismo e ad essere artefici positivi del vivere in società.
Come Chiesa sentiamo la responsabilità di educare alla legalità evangelica, che è amore alla verità, rispetto per la vita, cura dell’ambiente e ricerca del bene comune. La fede ci rende più presenti nella vita della comunità e ci spinge ad abitarla con responsabilità.
Concludo con le parole del profeta Michea:
“Ti è stato insegnato, uomo, ciò che è bene: praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6,8).
Così visse Franco Fortugno: i valori in cui egli ha creduto possano continuare ad illuminare i nostri passi.
Signore, donaci il coraggio di camminare sulla via della verità, della giustizia e della non violenza. E che la memoria di Franco Fortugno continui ad alimentare la nostra speranza in futuro dia pace. Amen.