Lettera ai presbiteri-messa crismale 2019

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   Carissimi fratelli Presbiteri, 

Anche quest’anno la Chiesa ci chiede di rinnovare lee le promesse sacerdotali. La dinamica della vita può arrestare lo slancio di carità e l’entusiasmo del giorno della nostra ordinazione sacerdotale, quando fummo unti e consacrati col sacro olio. Il rinnovo delle promesse ci fa risentire la gioia di quel giorno, l’abbondanza delle grazie ricevute, ravviva in noi l’entusiasmo di restare uniti al Signore, mossi non da interessi umani, ma dall’amore per i fratelli.

E’ sul rapporto con la Parola di Dio nella vita del presbitero che vorrei richiamare la comune riflessione. Sappiamo che “la Parola di Dio è indispensabile per formare il cuore di un buon pastore”: vivendone la ricchezza, prende slancio il cammino della nostra Chiesa. Vale per me e per voi tutti, cari fratelli presbiteri, l’esortazione di San Giovanni Paolo II ad affidarci e a sentirci affidati “al Signore e alla Parola della sua grazia” (At 20,32), ad esserne ascoltatori e ruminatori, a perseverare “dentro” la Parola e a lasciarsi nutrire da essa: 

E ora vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia, che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati” (At 20,32).

Come ministri siamo affidati alla Parola “viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio” (Eb 4,12), che ha il potere di salvare la nostra vita. Siamo chiamati ad avere grande familiarità con essa, cosa che non vuol dire solo conoscerne l’aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario, ma accostarci ad essa con cuore docile e orante, perché possa penetrare nei pensieri e nei sentimenti, generando quella mentalità nuova, che fa dire a san Paolo: 

Noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16).  

“Rimanendo” nella Parola, saremo veri discepoli del Signore. Immersi in essa, ci trasformeremo nell’essere stesso di Dio.               

E’ questa una via importante da seguire nel cammino di evangelizzazione: 

L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria. Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente «Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso». Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata”.

Ascoltare ed accogliere la Parola è fidarsi di Colui che parla, lasciarci illuminare dalla fede che nasce dall’ascolto, “fides ex auditu” (Rm 10, 17). E’ questa fede che rende il presbitero uomo dell’ascolto, ponendolo in un’intimità più profonda col Signore. Quando accoglie la Parola di Dio, cioè ascolta, obbedisce ad essa e la mette in pratica, diviene vero discepolo. Possiamo ben dire che, se per Dio “in principio era la Parola” (Gv 1,1), per il presbitero in principio è l’ascolto.

Essere capaci di ascolto, ascolto della voce di Dio, della richiesta di salvezza del nostro tempo, del grido del povero, della nostra stessa umanità è la nota principale dell’identità presbiterale. 

 Presbyterorum ordinis sottolinea: 

“Essendo ministri della Parola di Dio, [i presbiteri] leggono e ascoltano ogni giorno questa stessa Parola che devono insegnare agli altri. E se si sforzano anche di realizzarla in se stessi, allora diventano discepoli del Signore sempre più perfetti, secondo quanto dice l’Apostolo Paolo a Timoteo: “Occupati di queste cose, dedicati ad esse interamente, affinché siano palesi a tutti i tuoi progressi. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento, persevera in tali cose, poiché così facendo salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1Tm 4,15-16)”.

Nella dinamica dell’ascolto al primo posto c’è l’ascolto-dialogo col Signore, un ascolto che si realizza nella reciprocità: Lui ascolta me ed io ascolto Lui. 

Lui vede me nella mia nudità, vede i limiti, ma anche le positività ed io mi sento accolto ed amato da Lui. Vede quello che gli altri non possono vedere, quel bene e quel male che c’è in me. Davanti a Lui non è possibile fingere, vengono meno le maschere. Lui sa anche quanto ami, quanta rabbia c’è in te, conosce i tuoi sentimenti più nascosti. Ma non ti condanna: usa la misericordia come criterio di relazione. La stessa misericordia che sei chiamato ad avere con gli altri. La Parola di Dio è invito ad avere i suoi stessi sentimenti: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”, ricorda San Paolo (Fil 2, 5-7). 

Non vergogniamoci allora della nostra umanità nè dei nostri sentimenti.  Ciò che conta è essere simili a Gesù, che ha condiviso la nostra umanità, perché l’ha assunta ed amata:

Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”. 

Dall’ascolto della Parola ha origine l’ascolto dei fratelli. Dio ci dispone all’ascolto delle persone che incontriamo sul nostro cammino, ci rende preti e ministri di ascolto. L’ascolto più che il parlare rompe la solitudine. Quando è vero ascolto, fa anche superare il pericolo di chiudersi in se stessi. Oggi la prima vera opera di misericordia pastorale è proprio l’ascolto: ascolto delle fragilità, degli insuccessi, delle preoccupazioni, delle ferite, delle attese e speranze di ogni uomo. È ascolto che si fa prossimità. Ma è tutta l’umanità del presbitero a doversi fare ascolto e cura. Un’umanità che tende ad imprimere al cammino della vita “il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di comprensione”. La prossimità è una presenza che si fa accoglienza, dialogo, perdono, aiuto, che ti spinge ad andare nei contesti di vita dove le persone vivono e soffrono, che si fa aiuto concreto a cogliere i loro bisogni. Una presenza difficile da vivere, perché richiede molta gratuità, tendendo a divenire stile di vita nella preghiera e nel dono di sé. 

Una presenza che nel ministero della consolazione diviene prossimità allo sfiduciato, allo smarrito e a chi ha più bisogno di compagnia. 

L’umanità del presbitero favorisce “l’arte dell’accompagnamento”, tanto necessario oggi nel contesto di una comunicazione, facile ma superficiale, che però è espressione del bisogno di essere ascoltati. Bisogno di un ascolto personale, faccia a faccia, che fa sentire la persona amata. Di questo ascolto ogni sacerdote dev’essere esperto: 

Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. Sempre però con la pazienza di chi conosce quanto insegnava san Tommaso: che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma non esercitare bene nessuna delle virtù «a causa di alcune inclinazioni contrarie»,che persistono”.

La capacità di ascolto rende il presbitero uomo di relazione. La missione ricevuta lo pone a contatto con la gente, per cui è pastore nella misura in cui è capace di vere relazioni. 

La sua è una missione essenzialmente relazionale. Inserito in un presbiterio vive una necessaria relazione con i con-fratelli e con il vescovo. Come parroci, come confessori, come guide spirituali s’incontrano altri sacerdoti, fedeli, giovani, anziani e ammalati, poveri, “lontani”. Di conseguenza ci si realizza solo se capaci di relazioni sincere di accoglienza-ascolto-dialogo. Relazioni che le vicissitudini della vita possono anche mettere in crisi. Ma non per questo viene meno il dovere di riprendere il cammino attraverso il dialogo ed il perdono.

Di fondamentale importanza è instaurare relazionalità inclusive e non esclusive. 

Consapevoli che vivere la relazionalità  inclusiva costa fatica, specie quando ci si lascia prendere da quello che papa Francesco chiama «una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione”. Pronti a resistere alla tentazione di cercare protezione nel piccolo gruppo o in una chiesa elitaria fatta di pochi amici o di addetti ai lavori, ma anche alla tentazione di porre se stessi al centro nel contesto di narcisismo che non aiuta a riconoscere in chi sta vicino un fratello o una sorella, che attendono un semplice sguardo o un’amorevole parola di comprensione. Occorre avere coscienza che come presbiteri non si diventa uomini del fare, organizzatori religiosi o semplici funzionari del sacro, ma si è primariamente discepoli del Signore. 

Nel rinnovo delle promesse sacerdotali vi esorto a continuare a pregare per le vocazioni. Lo chiedo a tutti, sacerdoti e fedeli. 

Ai sacerdoti in particolare, insieme alla preghiera, chiedo di amare questa chiesa. Con le sue rughe, le sue ferite, le sue difficoltà. Nella nostra terra vive gente che soffre le ferite di storie che è difficile superare, le difficoltà di un territorio avaro di soddisfazioni. Dobbiamo lasciarci guidare dalla consapevolezza che senza amore verso questa terra ogni nostra azione pastorale perde di slancio e scade nella routine delle cose da fare. Abitiamo un territorio ed una storia da vivere alla luce della fede, seguendo la via del Vangelo. Solo così potremo superare sia l’approccio ideologico che quello rigorista e scoprire che i processi e le situazioni della vita non possono essere classificati attraverso schemi inflessibili o norme astratte. Essi hanno bisogno di profezia di ascolto, di intelligenza, di dialogo e di benevolenza. Per questo ciò che più preoccupa non è tanto il numero delle vocazioni quanto il rischio di perdere il sapore del Vangelo e di essere luce che non illumina più niente.

Ringrazio voi Presbiteri per il lavoro e la fatica quotidiana, ma anche per l’amicizia e la collaborazione che mi date. Ringrazio tutti indistintamente. Si cammina insieme.  Insieme si cresce. Insieme ci si corregge. So che non mancano i momenti di frustrazione e le delusioni, che spesso provengono da ingenerosità e odiosità. C’è chi non sa apprezzare il vostro lavoro, chi vede e rimarca le vostre fragilità. Gli stessi che vi ostacolano spesso sono i primi ad avere bisogno ed ad apprezzare i vostri sforzi, riconoscendovi necessarie guide del loro cammino. 

Per quanto dipende da voi non manchi l’impegno ad offrire una risposta chiara e senza compromessi alla richiesta di Vangelo, che proviene dalla nostra gente.

Non resta che sostenerci l’un l’altro se vogliamo vivere degnamente la vocazione.

Siamo in pochi, molti anziani e malati. Il Signore – non dimentichiamolo – ci ha chiamati a far parte di un presbiterio, e quindi a camminare e lavorare insieme. Mai da soli. A tutti chiedo la bontà di una preghiera, la comprensione ed il perdono. 

Il Signore benedica il vostro servizio e vi dia la pace del cuore. 

                                    ✠  Francesco OLIVA