A SCUOLA D’AMORE SOTTO LA CROCE

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Di nuovo a Polsi per l’esaltazione della Croce. A Polsi Maria e la croce sono strettamente legati, secondo la tradizione del rinvenimento della Croce, che ha dato origine al Santuario. Quest’anno, fedeli al percorso pastorale diocesano desidero richiamare il tema: “LA FAMIGLIA, A SCUOLA D’AMORE SOTTO LA CROCE”. La famiglia, scuola d’amore, è messa a dura prova dalla quotidianità. Essa ha tanto da imparare dalla Croce. C’è uno stretto legame tra la famiglia e la croce. La croce porta in sé le sofferenze e i fallimenti dell’uomo e di tutta la famiglia umana. La liturgia della Parola ha ricordato un momento particolare dell’antico popolo d’Israele: nel deserto Israele, in cammino verso la Terra Promessa, avverte la stanchezza e la lontananza di Dio. Aggredito da serpenti velenosi, pensa di non farcela più e si ribella. Il Signore si fa vivo ed ordina a Mosè di innalzare un serpente di bronzo: «Chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita». Richiamando questo episodio, Gesù confida a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo, per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Quello che è stato per Israele il serpente innalzato nel deserto è per noi Gesù sulla Croce: un segno concreto dell’amore di Dio, che ci viene incontro e ci prospetta la croce come via di salvezza. Dio non ha mandato il Figlio per condan­nare il mondo, ma perché il mondo si sal­vi per mezzo di lui. Un mondo, non da condannare, ma da salvare attraverso la croce: è questa la bella notizia che ci fa guardare la croce come all’albero della vita, ad un vessillo di speranza. In un mondo sempre più arido, segnato dall’indifferenza, c’è bisogno di questo amore: le nostre relazioni senza amore diverranno sempre più fredde e formali. E’ quello che si rimprovera a questo luogo sacro: qui tanti, veramente tanti, sono venuti in pellegrinaggio, hanno pregato, si sono confessati; in molti si sono convertiti. Ma questa ricchezza di grazia è stata profanata da quegli uomini di ‘ndrangheta che sono venuti, per organizzare progetti di morte. Costoro hanno versato sangue innocente ed hanno crocifisso il Signore. Nessuno venga mai più qui per progetti criminali. Mai più qui uomini di mafia! Chi viene qui armato, torni a casa col cuore pentito e convertito dalla tenerezza della Madre Maria. Polsi è luogo di preghiera, ma anche di perdono. Per quanti hanno profanato il nome di Maria e la sua immagine sacra con la violenza, l’immoralità ed ogni genere di male, chiedo perdono. Perdona, Signore, quanti visitano questo santuario e covano nel loro cuore vendetta, odio e rancore. La Croce di Cristo si comprende nella logica di Dio: la logica di un amore senza limiti, che si spende fino in fondo. La famiglia si confronta quotidianamente con questa logica. Lo fa, quando si lascia conquistare dalla logica dell’essere l’uno per l’altro. Oggi viene offerta alle nostre famiglie un’opportunità importante, per riscoprire il valore della croce: sulla croce Gesù ci mostra che solo una vita donata è una vita vera. Il suo soffrire c’insegna l’arte della misericordia e della compassione. Nel nostro tempo, molti rifiutano la salvezza di Gesù, perché non accettano la sofferenza. Non si può conquistare la salvezza senza sofferenza, senza rimanere uniti a Gesù nelle prove. Solo così Gesù «trasforma davanti a noi le tenebre in luce» (Is 42, 16) e redime i nostri mali. Chi accetta la croce si unisce alla sofferenza di Cristo. Non è un disgraziato, un maledetto, uno sfortunato, un rinnegato: è piuttosto un salvato! La croce non è il segno che Dio rinnega i Suoi figli, li abbandona e condanna a morte. San Giovanni Maria Vianney, conosciuto come “il Curato d’Ars”, ci spiega il significato della croce: “La paura della Croce è la nostra grande Croce; tutto va bene se portiamo bene la nostra Croce: fuggire la Croce è volerne essere oppresso; accettarla è non sentirne l’amarezza. Chi ama Dio è felice di poter soffrire per amore di colui che ha accettato di soffrire per noi” (in “Scritti scelti”, a cura di Gérard Rossé).

Volgendo lo sguardo alle nostre famiglie, ne vediamo le tantissime croci: malattie, morti, difficoltà finanziarie, povertà, tradimenti e comportamenti immorali, fallimenti dell’unione coniugale, atti di violenza nei confronti della donna, la perdita del lavoro e lo spettro della disoccupazione, i dissensi familiari, le calamità naturali.

La festa odierna ci ricorda che la croce non può essere eliminata, ma può essere vinta: “Cristo ha vinto perché ha rischiato tutto e ha mostrato che nulla è più forte dell’amore del prossimo”. Lo annotava nel suo diario, nel lager nazista dove sarà impiccato, il teologo Dietrich Bonhoeffer. “Dio è amore”, non un sentimento cieco, senza cuore. L’uomo “senza cuore” è un uomo senza amore, senza religione, perché in fin dei conti l’ateismo è vivere senza cuore. È atea una religiose senza cuore, è atea una politica senza cuore; è atea un’economia senza cuore; è atea una cultura senza cuore; è atea una solidarietà umana senza cuore; è atea una famiglia senza cuore. E’ necessario che la verità dell’amore di Dio splenda in noi. Credere in Gesù non significa guadagnare un portafortuna che protegge la vita dalle sofferenze e dalle disgrazie; non significa scoprire un rimedio preventivo, assicurativo, contro i malanni della nostra esistenza. Dio ci è vicino sempre, ma non ci toglie l’esperienza della sofferenza. Non c’è amore senza sofferenza e senza dolore.

Dal dolore della croce scaturisce la gioia della Pasqua. Alla luce della risurrezione di Gesù, il «prendere ogni giorno la Croce» (cf Lc 9, 23) è già l’alba del nostro mattino di Pasqua. Dopo la risurrezione del Cristo crocifisso ogni patimento umano può essere condotto alla salvezza; ogni dolore può riposare sicuro nelle mani di Dio. La fede ci dà la grazia di vedere come ogni giorno la via della croce si fa via della luce.

Che cosa sarebbe il Vangelo senza la passione e la morte gloriosa di Gesù? La nostra è la religione della croce e, al contempo, la religione della gioia. Cristo ha sconfitto la morte per regalarci la gioia. Niente più della tristezza, dinanzi alla croce della prova e del soffrire, alimenta l’ateismo; niente più della tristezza rivela il volto di una Chiesa rassegnata, il volto di cristiani impotenti. Madre Teresa di Calcutta non si stancava di ripetere alle sue figlie: “Non permettete mai che nulla, neanche il dolore più grande, possa farvi dimenticare che Gesù è risorto”.

Non rinneghiamo all’interno della famiglia il Vangelo della sofferenza e della prova. Resistiamo alla tentazione di rompere l’unione familiare alle prime difficoltà di intesa e dialogo. L’amore “per sempre” nella vita coniugale è voluto da Dio, anche se costa sacrifici. L’amore verso la famiglia ed i propri figli comporta fedeltà ed impegno quotidiano. I figli non sono né un peso né un diritto: sono un dono meraviglioso di Dio.

La famiglia, anche quando è tenerezza ferita, tradita e crocifissa, è pur sempre e per sempre, comunità di vita, di affetti, e di relazioni solidali. I Padri della Chiesa definivano anticamente la famiglia una “comunità di pazienti“, cioè di credenti che non si arrendono al male, che fanno di ogni “croce quotidiana” un anticipo della gioia della risurrezione.

Consideriamo la famiglia, per quanto in difficoltà, il dono più grande di Dio: affidiamola a Maria. AMEN!