Missionari o Dimissionari

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“Dio sta preparando … una nuova primavera per la cristianità” (GP II)

Non è un pallino nostro o la fissazione di qualche ottimista illuso, ma qualcosa che lo Spirito sta facendo. Chi non è attento ai segni dei tempi si interroghi sul suo modo di guardare la realtà e, soprattutto, non irrida chi ha lo sguardo più credente.
Ciascun vivente ad un certo punto della sua vita si trova dinanzi a questa alternativa esistenziale: o scegliere di essere missionario o dimissionario!
Decidere di essere missionario è scegliere di dare un certo significato alla vita, e un significato così serio e importante da assumerlo come ideale di vita e fonte di identità.
Missionari o dimissionari? Lo devono capire bene e, possibilmente, nel breve tempo possibile i nostri giovani e certi credenti “alla camomilla” o della “domenica”. Certo, missione non vuol dire solo Africa o Blangladesh, o senso dell’avventura e carattere amante del nuovo e dell’inedito, coraggio o rischio della prima evangelizzazione, o quantaltro… Ma chiariamo cosa vuol dire in realtà missionario (e il suo opposto dimissionario).
Quando parliamo di missione rischiamo spesso di commettere un errore: quello di identificarla immediatamente con l’annuncio o di concepirla soprattutto come azione, dinamismo, attenzione eterocentrata. Non è sbagliato pensare così, ma risulta una lettura parziale ed ambigua. Quante volte, ad esempio, si pensa un po’ superficialmente, che una buona esperienza missionaria sia quanto basti per aprire orizzonti nuovi al credente o per risvegliare la sua fede o addirittura fargli nascere in cuore un ideale vocazionale! Dobbiamo vigilare sulla pastorale esperienzialista. Un esperienza che non è mai diventata sapienza è paragonabile ad un aborto di esperienza.
Il termine missione dice qualcosa di molto intenso, profondamente personale e qualificante la propria identità. Quando uno si riconosce in quella determinato compito interpretato come “missione”, scopre che quella è la sua identità, cioè si sente se stesso solo compiendo quell’ufficio o accettando quella responsabilità. Di qui viene la passione (prima caratteristica della missione), dalla scoperta che in quella missione è nascosto il mio io, quello più vero e che sono “chiamato” a essere.
La passione fa si che quella missione venga interpretata con intelligenza, con creatività e fantasia, con totale dedizione e generosità, senza quantificare il proprio impegno, e a qualunque età pur se in modalità diverse. La missione è la mia vita.
La seconda caratteristica della missione è che nasce come fatto relazionale: c’è un altro (un Altro) che sceglie ed invia. L’inviato, dunque, ha la consapevolezza di non essere lì semplicemente in nome proprio, ma di essere stato scelto e incaricato da parte di un altro, al quale rendere conto.
Mai la creatura si sente chiamata e inviata come quando è il Creatore che la chiama e invia.
E questo aumenta ancor di più la passione per la missione, passione come urgenza, come non poterne fare a meno, come imperativo categorico esistenziale … il beato Comboni diceva: «o Africa o morte». Ma all’origine della missione cristiana non c’è soltanto un atto obbedienziale, c’è un Dio che comunica la sua passione per l’uomo, la passione divina per la salvezza.
La missione è già salvezza, il missionario è già un salvato perché Dio gli comunica la sua passione.
Credo che a questo punto si comprenda perché l’agire missionario della Chiesa in ciascun suo membro, non può ridursi a semplice operazione pastorale o filantropica, né a gesto obbedienziale e disciplinare. Ma è subito grande esperienza di Dio per colui che è chiamato e inviato, nel quale la percezione della vocazione missionaria si salda immediatamente con la sensazione di un amore, di un interesse, di una preoccupazione per l’altro che è inedita proprio perché è divina, gli viene dall’alto, da Dio.
«Chiaro, allora, che questo suppone una grande attenzione alla dimensione spirituale, dal contatto con Dio, dell’esperienza di lui intesa come esperienza di un amore nuovo e del tutto ricevuto dal credente, non umano né frutto della sua virtù e dei suoi sforzi, qualcosa di immensamente grande, come l’amore e la passione per il mondo che Dio prova nel suo cuore, e che ora pone nel cuore di colui che chiama e invia nel mondo. Mistero grande!
[…] E’ necessario dunque prestare attenzione alla dimensione spirituale, quella ove nasce la motivazione che spinge ad agire, perché scatti nel cuore umano la passione divina per la redenzione dei fratelli » (Amedeo Cencini, Missionari o dimissionari).
Formiamoci alla passione di Dio per la salvezza dell’uomo. La cura della dimensione spirituale come relazione intima con Dio farà lievitare la passione per l’altro, avverrà il travaso dal cuore di Dio al cuore del credente, si realizzerà la salvezza del chiamato prim’ancora del prossimo.
Dunque, essere missionari significa avere la passione dell’essere inviati da Dio per la salvezza degli altri.
A questo punto offro alla vostra attenzione due brani biblici che possono nutrire alla radice il nostro essere missionari (riporto di seguito i brani), provando a commentarli brevemente.

DON MIMMO MADONNA

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dall’ufficio di PG anche il materiale dell’Estate Ragazzi 2016
per gli oratori parrocchiali della Diocesi.
ER2016 inside out