40 Anniversario ordinazione sacerdotale

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40 Anniversario ordinazione sacerdotale (5 gennaio 2016 – Cattedrale di Gerace)

                                                                                           “Seguimi”
1 Gv 3, 11-21; Gv 1, 43-51
Il vangelo che abbiamo ascoltato è un diario di incontri e di personaggi: una pagina dinamica nella sequenza degli eventi – per lo più “incontri” tra persone  –  ma  dinamica  nel  modo  di  essere  e  di  fare  dei  protagonisti.  A cominciare  da  Gesù  che  «volle partire».  Il  suo  è  un  «partire»  verso  la Galilea, in cerca di uomini e donne disposti a condividere la passione e la bellezza  di  una  vita  spesa  per  gli  altri.  In  questo  contesto  si collocano l’incontro  e  la  chiamata  di  Filippo,  l’incontro  ed  il  dialogo  di  Gesù  con Natanaele.  Può  sembrare  strano, ma  in  quel  “seguimi”  detto  da  Gesù  a Filippo avverto come un invito personale, direi quotidiano, ad un cammino di condivisione, sempre nuovo. Un “Seguimi” che ogni volta mi ha colto in situazioni diverse ed è diventato un richiamo forte, dolce, provenendo dal Signore che dice: “il mio giogo è dolce ed il carico leggero”, ma anche esigente. Esigente al punto da non poter fare a meno di Lui. Il “seguimi” non è  stato  mai  in  tanti  anni  di  sacerdozio  motivo  d’isolamento. Non  lo  può essere per dei chiamati alla vita sacerdotale e religiosa. Sarebbe un bel guaio se  si  trasformasse  nella  ricerca  di  posizioni  di  privilegio  o  di  onori  e comodità.  Il quadro di riferimento offerto dalla Parola di Dio di questo martedì feriale  del  tempo  natalizio  mi  aiuta  a  riflettere  sulla  mia  esperienza sacerdotale.  Devo  riconoscere  che  non  sono  mancati  i  momenti  difficili, quelli in cui sembrava che la vita potesse autorealizzarsi. Sono stati momenti di povertà interiore, ricchisolo di sensi di vuoto, di paura, di incertezza e smarrimento. Ma proprio in quei momenti si è fatta sentire più forte la sua “grazia”,  quel  “ti  basta  la  mia  grazia”,  per  continuare  a  sperimentare  la bellezza della vocazione. In quei momenti è emersa la consapevolezza che quella chiamata, ogni chiamata, è a rischio, se cade nella prigione dell’ “io”. Ed è stato proprio allora che l’incontro con Gesù e la sua chiamata hanno trovato compiutezza nella fraternità sacerdotale, che porta a coniugare le ore ed i giorni in quel “noi”, in cui al centro c’è sempre Lui il Signore che continua a dirti: “Seguimi”. La relazione con Lui passa attraverso quel “noi”, che orienta la vita e tutte le proprie scelte nella logica della condivisione. Ho potuto sperimentare che la vocazione sacerdotale va in crisi, quando invece di dire come Natanaele e Filippo: “Abbiamo trovato”, si osa credere: “Io ho trovato”.  Filippo  condivise  il  suo  “seguimi”  con  Natanaèle:  «Abbiamo trovato … Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret», e lo invitò a condividere la bellezza di quella esperienza: «Vieni e vedi». Non  sarei  sincero  se  non  riconoscessi  di  aver  sperimentato  la tentazione: anzitutto delle cose,  dell’avere  e  del  possesso.  Subito  però  il Signore  mi  ha  additato  la  bellezza  del  distacco  e  mi  liberato  dalla presunzione che solo liberandosi dalla schiavitù delle cose è possibile vivere concretamente la vita con Lui. Mi sono reso conto che Egli non ti lascia mancare del necessario. E’ vero: la libertà dalle cose porta a dare valore all’incontro con l’altro; ogni persona che il Signore mette sui tuoi passi ti trasforma e abbatte le tue sicurezze. E’ vero: l’adagiarsi nelle comodità giova poco e può dissipare gli anni più belli. La vita sacerdotale aiuta ad apprezzare quanto  siano  importanti  virtù  come  la  semplicità,  l’umiltà,  la sobrietà,  il coraggio  della  lealtà,  l’essenzialità.  Soprattutto  fa  scoprire che  non  sei proprietario o padrone di niente, ma semplice amministratore dei talenti che un Altro ti ha affidato. Ma vorrei ritornare alla pagina del Vangelo: l’incontro di Gesù con Filippo e Natanaele. Di Filippo si sottolinea la chiamata: «Seguimi». Quella di  Natanaele  invece  sembra  essere  una  chiamata  alla conversione: la chiamata ad una conversione continua. Sì, ogni chiamata, e soprattutto la chiamata a seguire il Signore nella via del sacerdozio e della vita consacrata, è  prima  di  tutto  chiamata  alla  conversione.  Convertirsi  è  condividere l’esperienza di Natanaele: è un voltarsi verso la luce, un lasciarsi inondare da essa,  un  dare  un  senso  nuovo  alla  vita,  un  vero  seguire  il  Signore.  La conversione comporta per il chiamato una verifica delle scelte quotidiane. Può capitare – e capita – di sentirsi chiamati a tutto, fuorché a voltarsi in maniera decisa verso la Luce. Può capitare di sentirsi chiamati ad agire in un certo modo, a parlare in un determinato modo, a fare tante cose. Può capitare anche  di  sentirsi  chiamati  a  ricoprire  certi  ruoli  nella  Chiesa,  anche  di responsabilità, senza voltare il proprio sguardo verso Gesù. Una cosa è certa: non basta compiere, anche fedelmente, tante attività o ministeri ecclesiastici, se manca il volgersi interiormente e profondamente al Cristo che è luce. E’ la conversione a Lui che dà motivazioni al ministero, anche del vescovo! E’  in  questa  luce  che  vorrei  vivere  questo  momento  di  grazia: nell’orizzonte di una fedeltà che si rinnova quotidianamente. Per questo vi chiedo la bontà di pregare per me. Da quando sono stato inviato in mezzo a voi  non  ho  mai  dubitato  del  vostro  accompagnamento  nella  preghiera.  E questo mi ha dato la certezza che il popolo della Locride ama il suo Vescovo. Come posso non rispondere a questo amore con una donazione di fedeltà al Signore ogni giorno che passa? Ma vorrei aggiungere un’altra riflessione sulla chiamata di Natanaele. Per incontrarlo, il Signore si serve di un mediatore, di Filippo che, dopo aver raccontato  la  sua  esperienza  («Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto…»), rivolge a Natanaele l’invito: «Vieni e vedi». Anch’io ho avuto la grazia  di  incontrare  Filippo,  in  quel  giovane  parroco,  che,  entusiasta  del rinnovamento conciliare, insieme ad un gruppetto di studenti che volevano fare “scuola di comunità”, suscitò in me tanto entusiasmo e interesse per Gesù ed il Vangelo. Oggi come allora c’è bisogno di tanti “Filippo” per i tanti Natanaele del nostro tempo. Filippo ha da far vedere il Messia. Questo dà senso e forza al suo invito: “Vieni e vedi”! Noi chi o cosa abbiamo da far vedere?  È  lecito  lasciarci  interpellare:  “Cosa  si  vede  dal  mio comportamento?”, “Cosa c’è di attraente?”, “Chi – dietro un semplice mio invito – mette in gioco la propria vita con tutti i suoi progetti?”. La nostra terra ha bisogno di tanti “Filippo”, che sappiano mostrare il Signore. Lo può
(e lo deve) essere ciascuno di noi sacerdoti. Quando Papa Francesco, con un linguaggio di grande immediatezza, a tratti anche scomodo, mostra i limiti e il non-senso di certi modi di essere preti o consacrati, ci stimola a chiederci: Cosa vede in me chi mi incontra? Cosa vede chi mi sente parlare? Cosa vede chi mi vede agire? Davvero dai miei gesti e dalle mie scelte, anche da quelle più comuni (il modo di agire, di spendere il tempo e di impegnare il denaro) si percepisce la bellezza di quello che dico? Sono domande che l’esperienza sacerdotale ci fa porre più si va avanti negli anni. Filippo ha da far vedere il Messia. Anche il sacerdote ha da far vedere Gesù! E’ questa la vera missione di un vescovo e di un sacerdote!  Una missione – quella sacerdotale e religiosa – da salvaguardare da tanti  pericoli.  Ne richiamo  solo  uno:  la stanchezza.  Non  siamo  esenti  da stanchezza. Personalmente non lo sono stato. Anche papa Francesco mette in guardia da questo pericolo. Lo ha fatto in occasione della messa crismale dello  scorso  anno  (2 aprile  2015):  “La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io”. Per un prete, ma questo probabilmente vale per ogni persona umana, “la stanchezza di se stessi è forse la più pericolosa”. Papa Francesco elenca diversi tipi di stanchezza  che  possono  affliggere  la  vita  pastorale: “la stanchezza della gente, delle folle, spossante, come dice il Vangelo, ma buona, piena di frutti e di gioia. Una stanchezza buona e sana: la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini”. Quanto è bello e confortante incontrare sacerdoti anziani peretà, ma gioiosi e sereni, sinceri ed entusiasti nel servizio, aperti ed in dialogo con  i  confratelli,  sempre  appassionati,  mai  annoiati  del  ministero  che svolgono! Chiedo a Voi tutti di pregare per me il Signore. Lo faccio in questa circostanza che avete voluto impreziosire con la vostra presenza e vicinanza. Ringrazio veramente tutti. Chiedete per me al Signore che non venga mai meno la passione per Lui e per la Chiesa.

Signore,  fa risuonare ancora forte la tua voce  
nel mio cuore e nella mia vita,  il tuo “seguimi” continui ogni giorno a scandire le mie ore,
a sollecitare le profondità del mio essere.
Tieni sempre desto l’entusiasmo di seguirti,  
anche sulla via difficile del calvario
dietro la tua croce bagnata dal sangue versato per amore.
Non si spenga l’ardore missionario,
che porta ad amarti al di sopra di tutto,  
a trasmettere la gioia del Vangelo ovunque tu vuoi.
Mai la stanchezza prevalga  
e la monotonia rallenti il cammino dietro di Te.
Grazie, Signore, del dono ricevuto,
di quella pienezza di servizio che solo Tu sai.
Grazie, per avere esaltato
la fragilità che è in me
con la ricchezza della tua benevolenza oltre ogni mia possibilità.
Tu, Volto della misericordia del Padre,
ravviva in me ed in tutti i sacerdoti, religiosi e religiose,  
la fedeltà a quel “seguimi”, confermaci ministri del
tuo amore per sempre.  O Maria, Madre di Dio e Madre nostra,
accompagna e proteggi il cammino della nostra Chiesa e a tutti i tuoi figli  
fa sperimentare la ricchezza della divina Misericordia.
Così sia! 

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